«Quanto più il fardello è pesante, tanto più la nostra vita è vicina alla terra, tanto più è reale e autentica. Al contrario, l’assenza assoluta di un fardello fa si che l’uomo diventi più leggero dell’aria, prenda il volo verso l’alto, si allontani dalla terra, dall’essere terreno, diventi solo a metà reale e i suoi movimenti siano tanto liberi quanto privi di significato. Che cosa dobbiamo scegliere allora? La pesantezza o la leggerezza?» (Milan Kundera, L’insostenibile leggerezza dell’essere)
Qualche giorno fa, a 94 anni, è morto Milan Kundera, l’autore de L’Insostenibile leggerezza dell’essere. Quando ero giovane ho letto molti libri che parlavano della necessità di affrancarsi dalla dipendenza dei sensi. Se ci si fosse emancipati dalla gratificazione del piacere temporaneo, si sarebbe potuto aspirare ad uno stato di grazia. La mia attuale condizione fisica mi ha liberato dal desiderio estivo di una bibita fredda, dal piacere di rifugiarmi nella frescura di una chiesa per trovare riparo anche alla calura estiva. Ma non è piacevole. È solo un ricordo la difficoltà di arginare la voglia di una birra bevuta dalla bottiglia. Da adolescente lessi L’insostenibile leggerezza dell’essere di Milan Kundera. Un po' mi deluse. Il titolo, così suggestivo, aveva creato in me molte aspettative. Il libro narra le vicende di quattro personaggi. Il protagonista è Tomas, affermato chirurgo e inguaribile donnaiolo, che sposa Tereza, follemente innamorata di lui, ma sempre tormentata da una fondata gelosia. Poi c’è Sabine, una pittrice, uno spirito libero e disinvolto, torbidamente invaghita di Tomas. Sabine conosce e stabilisce una relazione con Franz, un professore universitario che si lega profondamente a lei; improvvisamente lei lo abbandona, stanca di fingere a se stessa, ossia di atteggiarsi indifferente a Tomas, il suo unico amore. Il giudizio di Sabine sull’esistenza si desume dalla sua considerazione dell’Arte, che ritiene che possa proliferare solo dove il mondo si è distratto. La ricerca di autenticità può maturare solo in un’inaccessibile e remota intimità, e, come lo spirito creativo, si infila fra le maglie del destino, mentre è vana la convinzione di essere artefici della sorte. Le vicende hanno come sfondo la Primavera di Praga. Tomas, critico nei confronti del Partito Comunista Cecoslovacco, che subì passivamente l’occupazione russa, scrive un articolo su un giornale della dissidenza, e per questo è costretto a trasferirsi a Ginevra. La vita è insostenibilmente leggera in quanto dalle vicende dei personaggi emerge che essi in concreto sono spettatori passivi della propria esistenza. Sono incapaci di operare scelte o, se le operano, sono irrilevanti; non hanno il coraggio di decidere secondo i propri sentimenti, preferendo affidarsi alle pulsioni del momento o a una razionalità che a lungo termine produce una realtà inconsistente. Non possono dare alla vita il corso che vorrebbero. Gli eventi si dipanano autonomamente: mentre pensano alla scelta più opportuna da compiere, la vita decide per loro. Sono tentati di affogare la loro frustrazione in rimedi momentanei, come la ricerca frettolosa di istanti di un disordinato piacere. In questo vortice sembra impossibile vivere con pienezza. Tomas è vittima di una irrefrenabile attrazione per le donne; Sabine, pur avendo trovato in Franz un ottimo compagno, non riesce a liberarsi dall’ossessione per Tomas. L’amore non può dispiegare le sue potenzialità quando il rispetto della fragile coerenza delle convenzioni rende incapaci di decodificare e di comprendere la consistenza degli instabili condizionamenti dei sensi. Tereza è vittima della gelosia, mentre Franz, innamoratissimo di Sabine, non riesce a conquistarla perché l’anima di Sabine è di Tomas. Le tessere del mosaico non coincidono. Nel film tratto dal romanzo viene descritto con molta cura un personaggio che sembra vivere in un mondo più normale: è un paziente di Tomas, un uomo semplice, un contadino di sani principi, che diviene presto il suo più caro amico. La sua insistenza a fin di bene – su suo invito Tomas e Tereza si fermeranno in un luogo ameno rimandando al giorno successivo il ritorno a casa – diviene però il presupposto della tragica morte della coppia, che perisce in un incidente stradale, causato dal maltempo particolarmente inclemente in quel giorno. Non disponiamo nemmeno degli esiti positivi delle nostre buone intenzioni! Tomas e Tereza erano tornati in Cecoslovacchia, ma erano stati costretti dal regime a rinunciare alle loro professioni e a vivere come semplici contadini. Dal romanzo affiora una visione della vita che può essere definita nichilista e minimalista, poiché sembra che tutto sia animato dalla mancanza di senso e di forza di ogni concreta manifestazione di volontà. Milan Kundera non compie una scelta filosofica, ma prenda atto della realtà. Sarebbe stato meglio che Tomas fosse stato un marito fedele e che Sabine avesse amato solo Franz, se quest’ordine si fosse realizzato in maniera naturale. Ma un assetto senza contraddizioni, se è imposto e non è esito di scelte, è fonte di infelicità. Soccorrono le reti che dispieghiamo per non sprofondare nell’abisso della disperazione. Sembra che l’anima segua con ostinata continuità una linea retta, nella quale ogni punto segue l’altro senza poter essere un sicuro approdo finale. Con la maturità ho compreso il messaggio di grande saggezza contenuto nel libro. RR