Il
mondo contemporaneo sta attraversando una rivoluzione geopolitica che
ridefinisce le relazioni tra gli attori globali e rende il futuro sempre più
imprevedibile. Le guerre tendono a sfuggire a qualsiasi razionalità politica e
seguono percorsi autonomi, rivelando conseguenze inaspettate e spesso
devastanti. Questa trasformazione non nasce solo da scelte di potere o calcoli
diplomatici, ma affonda le sue radici in una crisi di coesione sociale che
colpisce le società occidentali e che si manifesta nella fragilità
dell’istituzione familiare, nella perdita di fiducia nella politica, nella
diffusione di un individualismo che erode la capacità di agire come comunità e
che alimenta caos e conflitti. In questo scenario il cuore della crisi è
rappresentato dagli Stati Uniti d’America, che pur mantenendo l’immagine di
superpotenza vivono un malessere diffuso: un terzo della popolazione si
dichiara depresso, il consumo di droghe come il Fentanil ha raggiunto livelli
allarmanti, il patriottismo è in declino e il 70% degli americani non crede più
nel sogno americano. La coesione sociale è fragile e il paese è incapace di
sostenere una guerra prolungata contro potenze di pari livello, preferendo
interventi rapidi e circoscritti. Emerge una crescente influenza cattolica
nelle élite statunitensi, un paradosso per una nazione storicamente
anticattolica, ma oggi percepita da una parte della destra come possibile
modello di comunità basata su ordine e coesione in contrapposizione al
disordine e alla violenza diffusi in una società dove circolano più fucili che
abitanti. Le priorità americane sono prevalentemente interne, e sebbene la Cina
rappresenti la principale sfida geopolitica, Washington appare concentrata
sulla necessità di ricompattare la nazione e di difendere una la ‘fortezza
nordamericana’ che comprende anche Canada e Groenlandia. La sfida decisiva si
gioca sul terreno della tecnologia e in particolare dell’intelligenza
artificiale, campo in cui Stati Uniti e Cina si contendono la leadership mentre
l’Europa rimane indietro. In questa competizione l’energia e l’acqua hanno un
valore strategico essenziale, e questo spiega l’interesse crescente per
l’Artico, area cruciale non solo per le sue risorse ma anche per il controllo
delle nuove rotte marittime. In parallelo la Cina di Xi Jinping coltiva il
sogno di riportare il paese al rango di grande potenza, recuperando l’antico
prestigio perduto. La sua stabilità interna è messa alla prova da regioni
sensibili come Tibet, Xinjiang, Mongolia interna e Hong Kong, ma il nodo
centrale è Taiwan, considerata proprietà irrinunciabile e chiave di accesso al
Pacifico. Gli Stati Uniti mirano invece a contenere Pechino e immaginano
persino scenari di frammentazione della Cina, con Taiwan trasformata in un
perno strategico per bloccarne l’espansionismo marittimo. In questo quadro la
Russia emerge come il terzo incomodo: Mosca non accetta di essere relegata a
potenza secondaria, reclama un dialogo paritario con l’Occidente e concentra le
proprie ambizioni sul controllo dell’Artico e delle rotte che collegano
l’Estremo Oriente all’Europa e alle Americhe. La guerra in Ucraina è il
risultato diretto di questo intreccio di ambizioni: dopo il crollo dell’Unione
Sovietica l’allargamento della NATO ad est ha alimentato il senso di
accerchiamento di Mosca e Putin ha tentato una rapida operazione militare
convinto di una vittoria facile, trovando invece un’Ucraina resistente e
sostenuta dall’Occidente. Il prezzo è stato altissimo: centinaia di migliaia di
vittime e un collasso demografico che ha ridotto la popolazione a meno della
metà rispetto al 1991. In Medio Oriente l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023
ha aperto una nuova fase: Israele, spinto da componenti ultrareligiose, punta a
una vittoria definitiva e a una visione espansionistica che va dal fiume al
mare, relegando la causa palestinese all’identificazione con Hamas e
marginalizzando l’Autorità Nazionale Palestinese. Il conflitto con l’Iran
appare meno centrale, mentre si profila un possibile scontro con la Turchia e
si consolida l’espansione israeliana nelle alture del Golan e in Siria. In
questo contesto l’Italia si trova in una posizione delicata: la sua storica
centralità nel Mediterraneo rischia di svanire se le rotte artiche diventeranno
pienamente navigabili e il nostro mare si trasformerà in un lago salato
marginale rispetto ai grandi traffici globali. La libertà di navigazione verso
il Mar Rosso e l’Oceano Indiano non è più scontata e le crisi che si
accavallano tra Medio Oriente, Mar Nero e Mar Rosso incidono direttamente sui
nostri interessi vitali. Tutto questo ci interroga sulla capacità di guardare
oltre la superficie degli eventi e di prepararci a un mondo in cui i vecchi
paradigmi non bastano più e i nuovi faticano ad affermarsi, imponendo
all’Italia e all’Europa una riflessione urgente e profonda su come affrontare
una trasformazione che non è un processo lontano, ma una realtà che già
condiziona la nostra sicurezza, la nostra economia e il nostro futuro. Le
prospettive future che emergono da questo quadro sono molteplici e non lasciano
spazio a facili ottimismi. La geopolitica globale è destinata a rimanere
instabile e il confronto tra Stati Uniti e Cina non rappresenta un episodio
passeggero, ma il vero asse portante del XXI secolo. È difficile immaginare
compromessi duraturi e il rischio concreto è che si consolidi una nuova guerra
fredda tecnologica che non si gioca più soltanto sugli arsenali militari ma
sull’intelligenza artificiale, sull’energia, sulle risorse idriche e sul
controllo delle infrastrutture strategiche. L’Europa, se non saprà dotarsi di
strumenti comuni, resterà schiacciata tra i due colossi, costretta a un ruolo
di comparsa. La Russia non rinuncerà alla propria proiezione imperiale e
continuerà a utilizzare l’Artico, l’energia e le guerre ibride come strumenti
di pressione e di influenza. L’Ucraina rimarrà un nodo irrisolto: anche se il
conflitto dovesse congelarsi, il paese resterebbe segnato da ferite
demografiche ed economiche profonde che ne comprometteranno la stabilità per
decenni. In Medio Oriente la prospettiva di un “grande Israele” rischia di
alimentare un ampliamento del conflitto e un deterioramento irreversibile dei
rapporti con il mondo arabo, mentre la Turchia si propone come nuovo polo
regionale con interessi autonomi e divergenti. Gli Stati Uniti, se non
troveranno un equilibrio interno, rischiano di ridurre la loro capacità di
leadership globale, aprendo spazi ad altre potenze. La Cina, pur avviata verso
un’espansione costante, dovrà fronteggiare fragilità interne come la crisi
demografica, le tensioni etniche e il nodo di Taiwan, che rimane la grande
incognita del futuro. Per l’Italia e per l’Europa le prospettive dipendono
dalla capacità di comprendere i mutamenti delle rotte globali e di ridefinire
il proprio ruolo. Se l’Artico diventerà una via privilegiata, il Mediterraneo
perderà centralità e la nostra posizione strategica sarà indebolita. Ciò
significa che dovremo ripensare non solo alla nostra funzione di ponte tra Nord
e Sud del mondo, ma anche al nostro impegno nella difesa della libertà di navigazione
e nello sviluppo di tecnologie strategiche. Infine, al di là dei rapporti di
forza tra le grandi potenze, la vera questione riguarda la capacità delle
società di ritrovare coesione e senso di comunità. Se continueremo a
frammentarci in identità contrapposte e in società dominate
dall’individualismo, i conflitti tenderanno a moltiplicarsi; se invece
emergeranno nuove forme di cooperazione e di pensiero condiviso, anche questa
fase di caos potrà trasformarsi in un’occasione di rinascita.
Roberto
Rapaccini